Posts tagged with “assemblea condominiale”

CONDOMINIO: COME VA ESPERITA L’IMPUGNAZIONE DI UNA DELIBERA NEGATIVA?

impugnazione-di-una-delibera-condominiale-negativa.jpg

La volontà dell'assemblea condominiale viene espressa attraverso un atto giuridico che prende il nome di delibera. Dunque, la delibera non è altro che l'espressione della volontà dei condomini riuniti in assemblea. Le delibere assembleari possono essere di due tipi: 1) positive, ossia quando l'assemblea decide che debba essere fatta una determinata cosa (ad esempio, nomina o revoca dell’amministratore); 2) negative, quando l'assise boccia una proposta sottoposta alla sua attenzione (ad esempio, bocciatura del rendiconto condominiale). La delibera, una volta adottata, come previsto dal primo comma dell'articolo 1137 c.c., è automaticamente obbligatoria e operativa per tutti i condomini. La delibera assembleare deve essere messa per iscritto, come previsto dal settimo comma dell'articolo 1136 c.c. La forma scritta, oltre a lasciare una traccia del lavoro svolto dall'assemblea, serve per dare ai condomini assenti la possibilità di conoscere la delibera adottata e, se del caso, impugnarla. Di regola, l'adozione della forma scritta è richiesta ad probationem, cioè al fine di poter provare, in un eventuale giudizio, che quella determinata delibera è stata effettivamente adottata. L'impugnazione di una delibera negativa va esperita in sede contenziosa e non in volontaria giurisdizione. La quaestio nasce dal fatto che una donna ha impugnato una delibera negativa in sede di volontaria giurisdizione ai sensi dell'art. 1105, comma 4, c.c., ma il giudice, non riconoscendo i presupposti previsti dalla norma, ha respinto il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile; la stessa, dunque, ha deciso di ricorrere in Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., ma, anche in tal caso, la domanda è stata respinta, in quanto inammissibile (Cass. n. 15697/2020). È ormai giurisprudenza consolidata quella secondo cui il provvedimento emesso in sede di volontaria giurisdizione ai sensi dell'art. 1105 c.c. non è impugnabile ai sensi dell'art. 111 Cost. in Cassazione, in quanto trattasi di un provvedimento privo di carattere decisorio e definitivo. Esso è, infatti, ai sensi degli artt. 739, 742 e 742 bis c.p.c., revocabile o reclamabile, e la stessa cosa vale per il provvedimento emesso in fase di reclamo. Di conseguenza, il relativo ricorso proposto presso la Corte di Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. è inammissibile. Quella contestata dalla donna è una delibera avente contenuto negativo; ciò significa che l'assemblea ha deliberato in senso non favorevole alla richiesta della condomina. Laddove esistano gli estremi di invalidità, la strada da percorrere è, senza ombra di dubbio, quella dell'impugnazione ai sensi dell'art. 1137, comma 2, c.c., ai sensi del quale "contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudiziaria chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti". Decorso inutilmente il termine di trenta giorni senza che sia stato notificato un atto di citazione o avviato il procedimento di mediazione, tutti i vizi che avrebbero determinato l’annullabilità della delibera devono ritenersi definitivamente sanati. Inoltre, i termini devono intendersi di decadenza e non di prescrizione: ciò vuol dire che non possono aversi effetti interruttivi. Il giudice non ha però il compito di sostituire la delibera impugnata con una valida. La competenza in ordine alla sostituzione rimane in capo all’organo assembleare. Come è stato anche affermato dalla stessa Corte di legittimità, il codice civile, ai fini dell’impugnabilità, non fa differenza tra delibere che approvino o meno le richieste dei condomini. Secondo la Cassazione, nella comunione, prima di rivolgersi al giudice, occorre tentare il passaggio assembleare. Nel caso in cui l'assemblea decida in maniera sfavorevole al condomino incidendo sui suoi diritti, si ricorrerà all'impugnazione in via contenziosa. Se, invece, l'assemblea viene convocata, nel caso di sua omessa iniziativa o ove non si raggiunga la maggioranza, allora la strada da seguire sarà sicuramente quella stabilita dall'art. 1105 c.c. Gli Ermellini spiegano in maniera chiara come, essendo il provvedimento reso in sede di volontaria giurisdizione (all'esito di “un giudizio camerale plurilaterale atipico”) privo di decisorietà e definitività, nonché revocabile e modificabile dalla stessa Corte d'Appello e non contenendo alcun giudizio sui fatti controversi, non può costituire "autonomo oggetto di impugnazione in Cassazione”.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


APERTURA ABBAINO SU TETTO CONDOMINIALE: OCCORRE L’AUTORIZZAZIONE DELL’ASSEMBLEA?

apertura-dellabbaino-in-condominio.jpg

L’abbaino è un vano di dimensioni contenute, costituito da una sopraelevazione realizzata su una parte del tetto, avente, quale funzione principale, quella di agevolare l’accesso al tetto stesso, al fine di permettere le opere di manutenzione relative ad elementi (ad esempio, cornicioni) e, quale funzione secondaria, quella di fornire aria e luce ai locali sottostanti. Il proprietario dell'ultimo piano è libero di realizzarlo, anche se a determinate condizioni. Ciò è consentito dall'articolo 1102 del codice civile, che consente a ciascun condomino di servirsi della cosa comune, apportando a proprie spese le modifiche necessarie per il suo miglior godimento. Tale disposizione riecheggia anche nella sentenza del Tribunale di Milano, n. 601 del 28 febbraio 1991: “Il proprietario del solaio o sottotetto può aprire nel tetto abbaini per dare aria e luce ai locali sottostanti quando l'abbaino sia costruito a regola d'arte e non pregiudichi la funzione di copertura del tetto, né leda altrimenti il diritto degli altri condomini, in quanto l'esercizio di tale facoltà rientra nelle modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa”. Conseguentemente, spiega la sentenza, non c’è “bisogno del consenso della maggioranza dei condomini”. Ciò significa che la delibera che eventualmente vieti al condomino di fare un simile lavoro deve reputarsi illegittima. L’importante è che l’opera non pregiudichi la funzione di copertura e non determini un rischio per la stabilità del palazzo. Ad esempio, un lavoro fatto in modo non adeguato determina spesso infiltrazioni di acqua che, dal lastrico solare, potrebbero giungere fino alle scale o negli altri appartamenti privati. In quel caso, ad essere responsabile è l’autore degli interventi che dovrebbe risarcire i danneggiati. A proposito della realizzazione dell’abbaino da parte di un singolo condomino, è importante annoverare anche la sentenza n. 17099/2007 della Suprema Corte: “Le modifiche alle parti comuni dell’edificio (contemplate dall’art. 1102 c.c., comma 1) possono essere apportate dal singolo condomino nel proprio interesse ed a proprie spese al fine di conseguire un’utilità maggiore e più intensa: sempre che non alterino la normale destinazione della cosa comune e non ne impediscano l’altrui pari uso”. Prima di realizzare l’opera, sia il privato che il condominio, devono richiedere le autorizzazioni amministrative necessarie, previste dal comune e dalla regione dove è stato realizzato l’edificio. Nel caso in cui la proprietà è condominiale (cioè quando è di uso comune), per l’apertura di un abbaino è necessaria l’approvazione dell’assemblea. Dal momento che l’operazione richiede una trasformazione parziale del tetto, la modifica deve essere riconosciuta quale innovazione e, di conseguenza, l’assemblea può deliberare a riguardo esclusivamente con le maggioranze previste dagli artt. 1120-1136 del codice civile e, comunque, nel rispetto del decoro architettonico dell’edificio. In particolare, il secondo comma dell’art. 1120 c.c. stabilisce che: “Sono vietate le innovazioni che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino”. La giurisprudenza ormai costante afferma che per innovazione (istituto richiamato dall’art. 1120 C.C.) "deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto (richiamando l’art. 1102 C.C.)” (Cfr. Cass. Civ., sentenza 5 novembre 2002, n. 15460, Cass. Sez. II, sentenza 23 ottobre 1999 n. 11936, Cass. Sez. II, sentenza 23 ottobre 1998, n. 8622, Cass. Sez II Sentenza 11 gennaio 1997, n. 240, Cass. Sez. II, sentenza 5 novembre 1990, n. 10602, Cass. Sez. II, sentenza 29 luglio 1989, n. 3549). Ne consegue che nel condominio negli edifici, le modifiche alle parti comuni del fabbricato, di cui all'art. 1102 cod. civ., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, nonché indipendentemente dal consenso degli altri condomini, al fine di conseguire un uso più intenso della struttura modificata, sempre che gli interventi operati su questa non ne alterino la destinazione e non comportino impedimento all'altrui pari possibilità di uso (cfr., "ex plurimis", Cass. Sez. II civ., sent. n. 1554 del 20.2.1997).

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Autorizzazione Paesaggistica, indipendenza tra titolo abilitativo edilizio ed autorizzazione paesaggistica

paesaggistica.jpg

Partiamo dal presupposto che l’Autorizzazione Paesaggistica sia un atto autonomo richiesto in virtù di una specifica disciplina, con validità di cinque anni. Negli interventi di edilizia libera l’autorizzazione de quò risulta necessaria laddove presente vincolo paesaggistico, dovendo conseguire preliminarmente all’inizio dei lavori tale atto di assenso. Se volessimo dare uno sguardo al rapporto tra titolo edilizio ed autorizzazione paesaggistica, emerge dall’art.146 comma 9 del D.Lgs 42/2004 essere l’Autorizzazione Paesaggistica “atto autonomo e presupposto dei titoli edilizi” ragion per cui il titolo abilitativo edilizio non può essere rilasciato o reso effettivo senza il previo parere, nulla osta o autorizzazione favorevole da parte della Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali. Resta, comunque, come da costante giurisprudenza, valevole il fatto che la mancata acquisizione non renda illegittimo il titolo edilizio, più precisamente, trattandosi di due diverse tipologie di atti, autonomi l’uno rispetto all’altro. Le disposizioni del Testo Unico per l’Edilizia, d. P.R. 380/2001 in relazione agli atti di assenso Nell’introdurre la disciplina urbanistico – edilizia è l’art. 1 “Ambito di applicazione” al comma 1 a riportare il testo inerisca “i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell’attività edilizia” facendo comprendere al lettore, al successivo comma 2, lo stesso testo unico per l’edilizia non attenga in alcun modo quanto riguardante normative settoriali specifiche, pertanto da quel punto di vista non ne legittima la liceità. In tal senso viene precisato, anche nel disciplinare l’attività edilizia non soggetta ad alcuna comunicazione allo Sportello Unico per l’Edilizia, ovvero al protocollo del Comune per gli enti sprovvisti di S.U.E., che non possano essere iniziati i lavori, sia nel recitare “Restano ferme le disposizioni in materia di tutela dei beni culturali e ambientali contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (oggi decreto legislativo 42/2004), la normativa di tutela dell’assetto idrogeologico, e le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia”. Non si limita ancora il concetto disposto dal T.U.E., ripreso, ulteriormente al comma 1 dell’art.6 “Attività edilizia libera”, che testualmente recita: “Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisimiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42, i seguenti titoli sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo edilizio […]”, proseguendo il disposto normativo con la elencazione delle opere. Resta inteso che il mancato conseguimento dell’autorizzazione paesaggistica sia condizione di inefficacia, ma non di validità del titolo edilizio come confermato al prima citato comma 9 dell’art.146: “i lavori non possano essere iniziati in difetto dell’autorizzazione paesaggistica, senza riferimento al titolo edilizio”.